Roma – (di redazione) Una norma illiberale e protezionistica (l’articolo uno, comma 682 e seguenti, l. 30 dicembre 2018, n. 145) varata dal governo Conte 1, Lega – 5Stelle, ha prorogato fino al 31 dicembre 2033, cioè per quindici anni, un tempo lunghissimo, le concessioni demaniali marittime, cioè l’utilizzo dei beni pubblici, cioè di tutti i cittadini, per scopi economici da parte di pochi privilegiati privati concessionari. Ciò in spregio alle disposizioni europee in materia di libera concorrenza, ai principi costituzionali di uguaglianza e di libertà di iniziativa economica, e perfino alle principi generali dell’economa di mercato che ispirano gli Stati liberali. In buona sostanza, una norma da paese delle banane, a vantaggio di qualcuno e in danno dell’intera società, inserita nelle pieghe della finanziaria (comma 682, dell’art. 1- sic!), varata a capodanno con l’intento di renderla meno visibile e scongiurare così gli inevitabili cori di protesta ed indignazione delle vittime di questo sistema di privilegi.
Così è stato.
Ma, come spesso avviene, gli autori del ricchissimo regalo ad una sparuta minoranza di fortunati italiani, che fanno gli imprenditori sfruttando un bene comune (spiagge, coste, mare…), hanno fatto i conti senza l’oste, in questo caso rappresentato dalle Autorità Europee, dall’Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato (nazionale), dalle Corti di Giustizia Amministrativa (TAR e Consiglio di Stato) e persino dalla Corte Costituzionale.
Ed infatti, con la recente sentenza del 16.2.2021 n. 1416, il Consiglio di Stato ha affermato a chiare lettere un concetto che sembra ovvio, ma che nel paese dei furbi evidentemente ovvio non è, e cioè che “la spiaggia è un bene pubblico demaniale” e in quanto tale , inalienabile ed insuscettibile di formare oggetto di diritti a favore di terzi. Specie per un periodo così lungo (quindici anni di proroga automatica). Aggiunge il Consiglio di stato che sta proprio nella limitatezza del numero e dell’estensione di tali beni che trova giustificazione il ricorso a procedure di selezione comparativa per la loro assegnazione, in questo uniformando il proprio pensiero a quello della Corte di Giustizia Europea, secondo la quale “l’art. 12 della Dir.2006/123/CE (38) osta a una misura nazionale che preveda l’automatica proroga del titolo concessorio, in assenza di qualsiasi procedura selettiva di valutazione degli operatori economici offerenti” (cfr. CGUE, sent. 14 luglio 2016).
In buona sostanza, la Corte di Giustizia prima ed il Consiglio di Stato dopo bocciano clamorosamente l’idea aberrante del Legislatore italiano, secondo cui l’utilizzo e lo sfruttamento economico dei beni pubblici e delle risorse territoriali ed ambientali possano essere concessi ai privati in assenza di una gara fra più offerenti, o le concessioni in essere congelate per tempi così lunghi. Sul tema si è espresso recentissimamente il Tar Toscana, Sezione II, sentenza 8 marzo 2021, n. 363, secondo il quale nella fattispecie in esame trova applicazione l’articolo 12 della Direttiva 2006/123/CE (c.d. Direttiva Bolkestein o Direttiva servizi), il quale prevede che qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento» (par. 1) e che, in tali casi, «l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami”.
Nel contrasto fra le disposizioni nazionali e quelle europee su una determinata materia, la soluzione non può che essere la disapplicazione della norma interna contrastante con l’ordinamento comunitario, le cui disposizioni, per unanime riconoscimento di dottrina e giurisprudenza ( anche costituzionale) hanno un rango preminente rispetto a quelle dei singoli Stati membri.
La privatizzazione delle spiagge e delle coste è un argomento sensibile per un’associazione di consumatori come la nostra che vuole tutelare il diritto di tutti a fruire dei beni comuni, in un quadro di procedure certe di evidenza pubblica, che preveda come eccezione lo sfruttamento di essi a scopo economico, dietro il pagamento di un canone di mercato e non di favore.
Aiace intende farsi promotrice, coinvolgendo sul tema anche le altre organizzazioni di settore, di una campagna per l’abrogazione della legge di proroga quindicennale delle concessioni demaniali per uso turistico-ricreativo perché, come si è visto, essa è illegale in quanto viola pesantemente principi fondamentali della Costituzione italiana e dei Trattati Europei e rappresenta un fatto discriminatorio e limitativo delle regole di concorrenza della libera economia di mercato.