Larve come snack o per preparare il pane? L’Europa ha detto si all’uso di un insetto come alimento umano

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Roma – (Di Alessandro La Spina) Immaginate di andare al ristorante, magari per un’occasione particolare, come potrebbe essere una uscita in famiglia, un incontro di lavoro o, perché no, l’appuntamento con la persona che fa battere il vostro cuore. Appena seduti al tavolo, siete lì per ordinare, e, tra le varie pietanze presenti in menù, leggete: antipasto di mosche della casa, spaghetti alle libellule, grigliata mista, in salsa dolce, di formiche, api, ecavallette nostrane. Bene!… A questo punto vi starete chiedendo: Ma cosa farfuglia l’autore dell’articolo?….di che parla?….ci sta con la testa?….Tranquilli, non ci siamo ammattiti…….abbiamo soltanto esagerato un po’ nel descrivere una possibile evoluzione del settore agroalimentare italiano e non solo in un futuro nemmeno troppo lontano. Lo spunto di riflessione ci viene offerto dal recente via libera, accordato dall’Autorità Europea sulla Sicurezza Alimentare, alla possibilità di ammettere al commercio, per la prima volta, un insetto destinato al consumo umano, in applicazione del regolamento UE 2015/2283 riguardante il cosiddetto “Novel Food”. Nello specifico, si tratta delle «larve gialle del tenebrione mugnaio» (hanno scomodato anche lui, poverino…..e vabbè….), meglio note come tarme della farina. La decisione formale verrà presa dalla Commissione tra qualche settimana ed è considerata uno degli steps che caratterizzano la strategia “Farm to Fork”, cioè il piano d’azione UE 2020-2030 mirante a promuovere la realizzazione di una politica agricola comune più sostenibile, basata sulla consumazione di alimenti a basso impatto ambientale. Probabilmente non le vedremo da subito nei nostri ristoranti, ma è previsto che le tarme vengano commercializzate come insetti essiccati interi, snack, o, più semplicemente, farina per la preparazione di prodotti alimentari, avendo l’accortezza di rispettare alcuni specifici requisiti di etichettatura finalizzati a salvaguardare la salute dei soggetti allergici. La vicenda è certamente destinata a far discutere, suscitando, da un lato, il duro scetticismo o l’ironia di tante persone, ma anche, dall’altro, il legittimo interesse economico che più di un’azienda vanta nel settore. In diverse aree del mondo, d’altronde, gli invertebrati fanno già parte della dieta di milioni di individui e la stessa FAO li ritiene un’importante risorsa alimentare, fonte di elementi nutritivi, quali, ad esempio, grassi, proteine, vitamine e fibre. Un vantaggio ulteriore sarebbe rappresentato dalla possibilità di ottenere grandi quantità di cibo con un limitato dispendio di energia, laddove, al contrario, alimenti tradizionali come la carne contribuiscono in maniera seria alla produzione dei gas serra rilasciati in atmosfera. Al momento l’Autorità europea sta valutando sedici richieste di commercializzazione per altrettanti “animaletti”, di cui undici sono già entrate nella fase di valutazione tecnica. L’Ipiff, organizzazione non-profit che promuove l’utilizzo degli insetti nell’alimentazione umana, giudicando in maniera positiva la decisione comunitaria, valuta in circa tre miliardi di euro gli investimenti che potrebbero essere attivati dalle aziende del comparto entro il 2025. Di diverso tono, invece, le prese di posizione delle principali associazioni di categoria, non convinte dell’opportunità di aprire le porte a prodotti del tutto estranei alla tradizione gastronomica del vecchio continente. Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, sostiene che l’autorizzazione all’uso delle tarme rappresenta «il paradosso di un approccio troppo ideologico alla Farm to Fork. Da una parte si mettono in discussione le nostre straordinarie eccellenze, soprattutto zootecniche, realizzate seguendo un modello di sostenibilità unico al mondo, mentre dall’altra si spingono cibi “etnici”, alternativi e strumentalmente proposti come più sostenibili per coprire la richiesta crescente di proteine nobili (che potrebbe essere tranquillamente soddisfatta ricorrendo a legumi, pesce azzurro ed altre piatti tipici della dieta mediterranea – NDR)». Pur essendo legittimo pensare di offrire un’ampia varietà di cibarie, qualunque sia la loro origine – prosegue Scordamaglia – in questo modo si rischia di perdere di vista il vero obiettivo della strategia destinata ad orientare, nei prossimi anni, le politiche agroalimentari europee: produrre sempre più qualità, in maniera naturale, impattando meno sull’ambiente e fornendo alle persone alimenti sani e sicuri. 

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